LETTURA SETTIMANALE
Il TEMPO MISTICO, una "liturgia" speciale, esegesi settimanale di un passo del Vangelo sotto la lente del Cristianesimo Interiore
Periodo liturgico: Avvento - colore: viola
Il termine “Avvento” deriva da “Venuta”: è un periodo di attesa e di preparazione. Le Chiese cristiane danno cadenze differenti al rispetto di questo periodo: Chiese orientali e anche il rito Ambrosiano (a Milano) lo fanno durare per sei domeniche, le sei domeniche che precedono il Natale, partendo perciò dal periodo di San Martino. La Chiesa Cattolica Romana e quasi tutte le altre Chiese cristiane lo fanno risalire alle quattro domeniche che precedono il Natale. Tutte scandiscono l’inizio dell’Anno Liturgico con la prima domenica d’Avvento.
49.a settimana -Domenica 7 dicembre 2025
II domenica d'Avvento
Il Verbo
Il Verbo
Giovanni 1, 1-14
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue,
né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
---------------------------------------------------------
La potenza del Prologo del Vangelo di Giovanni è palpabile; ci dà una dimensione che supera e trascende qualsiasi altra. Ci dice: sei in presenza di qualcosa che supera tutto, siamo in un ordine di grandezza cosmico.
Mentre gli altri evangelisti (Matteo in particolare) raccontano il Gesù storico, dando perciò più importanza al lato “forma” (genealogia di Gesù) e all’aspetto “umano”, Giovanni fin dall’inizio ci dice di mettere l’accento sul Cristo anziché su Gesù, sull’aspetto “spirituale” e cosmico.
Se vogliamo analizzare soprattutto i primi versetti, dall’1 al 5, dobbiamo subito chiarire che non esiste una spiegazione esaustiva, ma proprio perché essa è di carattere iniziatico nasconde in sé diversi livelli, qualcuno certamente ancora non sviscerato, e qualcuno certamente riguardante solo esperienze singole e particolari.
Non confondiamo, come fa la Chiesa, il “Verbo” descritto in questi versetti con il Cristo; è un’entità molto più elevata. Qui questo Grande Essere è chiamato Dio.
L'uomo moderno, in effetti, si trova davanti ad una contraddizione: da una parte se segue la logica si rende conto della necessità dell'assoluto (essere), dall'altra la sua percezione avverte solo ciò che appare come relativo (divenire). L’esoterismo più avanzato distingue fra l’Assoluto, al di sopra eppure dentro Tutto, e Dio, il Creatore che, alla fine, è anch’Egli in evoluzione, sia pure ad una dimensione per noi inconoscibile.
Se nel tentativo di conoscerlo identifichiamo Dio con l'Assoluto, qualsiasi descrizione umana sarebbe destinata a cadere per sua natura nello spazio e nel tempo, ossia nella relatività, la quale è l'opposto dell'assoluto. Eppure, se l'Assoluto esiste, non può prescindere da tutto quanto esiste: spazio e tempo compresi, altrimenti non sarebbe più l'Assoluto. Questa incongruenza diventa però apparente se ci rendiamo conto che la relatività non è una descrizione della realtà, se non nei limiti della nostra illusoria capacità limitata di comprensione e percezione. È il mistero descritto da Giovanni nel suo Vangelo: "In principio", quando cioè nacque il tempo e perciò la creazione, "era il Verbo", e il Verbo "era presso Dio", ma contemporaneamente "il Verbo era Dio".
Per noi è impossibile concepire l'Assoluto, nonostante logicamente Esso ci concepisca; definiamo "Dio" l'Uno, il primo Essere generato, che Giovanni chiama il "Verbo", l'Essere che legifera, che regge l'universo reale che però noi, nella nostra visione dialettica conseguente alla percezione dei sensi, percepiamo e concepiamo illusoriamente. L'unica realtà dell'universo è Dio, il Quale "È Colui che È", ma noi scambiamo l'illusorio che comprendiamo con il reale che non comprendiamo, e gli attribuiamo i valori assoluti che invece non possiede, pur essendo Egli l'Onnisfera che comprende tutte le altre sfere.
Ma questi versetti si possono anche leggere come la storia dell’incarnazione del Cristo, che si è fatto carne scendendo nei corpi fisico e vitale di Gesù per compiere la Sua missione di salvezza. Ci dice Giovanni che “veniva nel mondo la luce vera”, in antitesi quindi con una luce falsa; quale è la luce “falsa”? È appunto la luce falsa, indiretta, riflessa, della conoscenza derivata dall’istigazione luciferina nella nostra evoluzione. “Lucifero” significa infatti “portatore di luce”; ma è la luce dialettica, separatrice della conoscenza che vede “come in uno specchio, in maniera confusa”. Per “vedere direttamente” dobbiamo sviluppare la vera luce, quella che ci permette di guardare in faccia la luce del Sole senza rimanerne accecati. Questa è la vera luce che ha portato il Cristo, Arcangelo solare. Dove trovare questa luce? Ci dice Giovanni che questa è la luce “che illumina ogni uomo”; non discrimina quindi fra buoni o cattivi, ricchi o poveri, intelligenti o ignoranti, ecc.: ogni uomo. È la luce interiore, lo Spirito che attende di essere risvegliato attraverso un solo mezzo: il lavoro entro se stessi. Quello Spirito che è quella parte del Dio che si è fatto carne in ciascuno di noi: sta lì la vera luce, la vera conoscenza.
Nei versetti 4 e 5 troviamo:
“In Lui (nel Verbo) era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
È la luce “antientropica”, che costruisce il corpo.
Mentre nei versetti 8 e 9 leggiamo:
Non era lui la luce (Giovanni il Battista), ma doveva dare testimonianza alla luce …
Veniva nel mondo la luce vera (il Cristo), quella che illumina ogni uomo.
È la luce “entropica”, che edifica l’anima.
Ci siamo in questo modo diretti verso il terzo livello di interpretazione, quello interiore. Proviamo a leggere questi versetti come fossero la storia di ciascuno di noi all’alba di questa incarnazione. Trascriviamo “Sé” al posto di “Verbo”, e “personalità” al posto di “tenebre”:
In principio era il Sé,
e il Sé era presso Dio,
e il Sé era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita,
e la vita è la luce dell’uomo,
e la luce splende nella personalità,
ma la personalità non l’ha accolta.
“Come in alto, così in basso”: ancora una volta la legge di analogia è la chiave maestra per spiegare tutti i misteri.
Veniva fra la sua gente (ossia nei suoi corpi),
ma i suoi non l’hanno accolto.
A quanti però l’hanno accolto,
ha dato il potere di diventare figli di Dio (cioè di reintegrare l’interiorità spirituale con la personalità).
“Figli di Dio” perciò non si diventa che tramite un lavoro individuale su se stessi (nei propri corpi), e non per discendenza. L’ereditarietà, ossia la trasmissione di caratteri genetici, vale solo per il corpo fisico: tutte le qualità della sfera morale – che appartengono ai corpi sottili dell’uomo – non ci derivano geneticamente dai genitori (“né da sangue, né da carne”) o dall’educazione o condizionamento (“né da volere dell’uomo”), ma appartengono al Sé, e sono l’eredità delle sue esperienze in tutte le vite precedenti. Sono queste che, un poco alla volta, portano l’uomo a diventare “Figlio di Dio”, ossia erede delle facoltà divine che gli sono interiori.